giovedì 11 aprile 2013

I volontari della Bottega equosolidale a La Spezia


Nella bottega equosolidale di La Spezia, ricca di colori, Marina Ciceri ci racconta un po’ la storia della bottega. Questa bottega ha una storia particolare perché è abbastanza nuova, è stata molto ragionata. La bottega storica del commercio equosolidale a La Spezia è nata in corso Cavour, ma da un anno e un mese ci siamo trasferiti qua, scegliendo di riportare il commercio equosolidale in centro città, perché l’esperienza in periferia – che poi non è periferia, perché la città non finisce in piazza Verdi – è stata molto formativa perché piazza Brin è un quartiere storico con tematiche molto attuali, ma è fuori mano per chi si muove a piedi, ed è molto importante stare alla portata di tutti. Abbiamo scelto di costruire la bottega in modo da mettere in risalto, oltre al messaggio della solidarietà internazionale, quello della solidarietà locale.

Dopo aver recuperato i mobili della bottega vecchia, abbiamo fatto costruire tutta la parte che andava aggiustata, ricostruita, rimessa a posto da una cooperativa che fa lavorare ragazzi disabili in falegnameria e abbiamo scelto un materiale riciclato, i bancali. Come scelta estetica ci è piaciuta subito, è molto comunicativa, e poi c’è un fraintendimento sul commercio equo e solidale, che l’attenzione sia tutta rivolta verso i paesi in via di sviluppo, mentre in realtà l’attenzione è prima di tutto locale. È sulle scelte locali che si cambiano i grandi temi. Con i paesi in via di sviluppo c’è un problema di scelte nostre, storiche, che hanno ripercussioni attuali. Per noi nessun cittadino può evitare le responsabilità storiche del suo popolo.



Noi cerchiamo di coniugare le due realtà. Spesso ci dicono, sì, però si fanno muovere container, si fanno muovere barche, aerei, e si fa muovere inquinamento, ed è vero, ma lo fa anche tutto il resto del commercio, per il quale però c’è una serie di problematiche a cui noi abbiamo ovviato ed è anche vero che finché le barche e gli aerei si muovono per cose che ci interessano nessuno si pone il problema, ad esempio per le grandi tecnologie, per le cose che c’entrano con la ricerca medica, con i materiali metallici che sono indispensabili per la nostra vita. Abbiamo dei giacimenti di petrolio in Basilicata che non sfruttiamo per la nostra economia locale e quello non è un problema, mentre comprare il miele bosniaco è un problema. Che differenza c’è? Io trovo che sia una contraddizione.
Sono tematiche attuali, ma difficili da comunicare quando sei ai margini della città, mentre al centro ci siamo resi conto dell’interesse che c’è e una delle vittorie di questa bottega, più che la sostenibilità economica, è proprio l’attenzione delle persone che vengono in bottega e ci fanno un sacco di domande, cosa che non succedeva, prima, o succedeva più raramente.

La prima bottega è stata aperta nel 1994 in via Castelfidardo. Io non c’ero, sono entrata giovane nel commercio etico, ma nel 1994 avevo 11 anni. Sono entrata nel 1998-99. Ero scout e il mio capo scout mi propose di fare il servizio extra associativo. Stava nascendo allora la bottega di Lerici e io bazzicavo un po’ l’ambiente, così mi hanno messa lì a fare servizio per un anno come volontaria “forzata”. In questo anno ho partecipato a tutti gli incontri formativi, come anche Marisa e parecchi altri ragazzi che sono rimasti coinvolti nella bottega in generale, non solo nella bottega di Lerici, l’esperienza “Eco del mare”, la chiamiamo. Era una bottega molto giovane e molto gestita da ragazzi. All’inizio ero solo turnista, poi, alla fine dell’anno le responsabilità sono state date subito anche ai ragazzi, quindi ho iniziato subito a fare la responsabile ordini, anzi, ad assistere il responsabile degli ordini, a curare il magazzino, un po’ alla volta. Qui siamo tutti volontari.


Negli anni ci sono dei cicli, la nostra realtà, come tutte le esperienze di volontariato, è molto dinamica. Ci sono gli storici, da quelli che magari hanno fondato una bottega, a Lerici o a Sarzana. C’è comunque una buona alternanza e ora ci siamo rinvigoriti anche sotto questo punto di vista, perché in effetti è più pratico, anche se il centro è pedonale, ma probabilmente i nostri volontari vengono più a piedi o in autobus, quindi è più raggiungibile. Ci sono i clienti affezionati, quelli che passavano lì per sbaglio, quelli che venivano a comprare da noi per scelta e non perché è un bel negozio, o ha delle cose originali. Perché dal centro ci si passa, e anche se abiti in piazza Brin e il tuo giro di acquisti è in piazza Brin comunque dal centro finisce che ci passi, prima o poi, e viceversa no. E poi ci sono i clienti nuovi e anche i clienti di passaggio che vedi solo a Natale e non è proprio una scelta quotidiana, però siamo fiduciosi, nel lungo periodo… Economicamente va molto meglio.


Una bottega che non ha molto passaggio è anche molto altalenante come incassi, quindi durante l’anno ci sono periodo in cui va molto bene, come le feste, e che ti mantengono la bottega per il resto dell’anno, e questo non va bene, limita gli ordini, limita la possibilità di provare cose nuove, se hai i soldi contati non puoi permetterti di provare un progetto nuovo… e qui invece la novità è accolta bene, anche quando c’è un progetto nuovo che presentiamo per la prima volta c’è interesse. Il commercio equosolidale non ha risentito particolarmente della crisi.

Per esempio il 2006 fu un anno eccezionale dal punto di vista degli incassi, nessuno se lo aspettava perché non era un periodo “florido”, subito dopo invece ci fu uno stallo, ma a prescindere dall’economia, anche perché il commercio equo comunque cambia spesso e si avvicina sempre di più come prezzi al mercato entro cui stiamo penetrando, è ovvio, la forbice piano piano si chiude. Quindi le persone che sono abituate a comprare qua per scelta politica, che quindi magari non comprano tutti i caffè qua, però una volta al mese magari sì e rinunciano a qualcos’altro per comprare il caffè nostro, di qualità, non hanno cambiato le loro abitudini, perché magari rinunci una volta di più a qualcos’altro, però non rinunci alla tua scelta, e questo quindi ci permette di essere un po’ più al riparo.


L’amministrazione pubblica qui in città è sempre stata molto sensibile. Abbiamo tra i soci fondatori esponenti dell’amministrazione, sia di maggioranza che di minoranza. Non siamo un argomento prioritario nella scelta di politica economica, mentre siamo uno dei pochi settori in cui in Regione continuano a darci dei finanziamenti importanti, perché siamo un settore in crescita. Dal punto di vista economico e dal punto di vista della cooperazione internazionale spesso e volentieri non siamo neanche presi in considerazione come interlocutori, e questo non lo dico con critica nei confronti dell’amministrazione perché è una critica prima di tutto nostra, perché evidentemente non ci proponiamo con costanza e determinazione, perché comunque le attività da fare in una Bottega sono tante, quella politica è una delle tante, però ci sono anche tutte le altre, e quindi dipende dai periodi e dai volontari.

Se ti piace l’aspetto di sensibilizzazione, di entrare nel circuito politico della città, c’è il volontario che va in Comune a bussare all’assessore, altri no, non ne hanno voglia, non gli interessa, pensano che la politica si faccia con le persone e che non ci sia quest’esigenza di avere come interlocutore primo il Comune. Può essere un interlocutore di rimando. Grazie alla Regione lavoriamo regolarmente con le scuole, perché ci finanzia dei progetti di sensibilizzazione ormai da quattro-cinque anni, quindi la nostra presenza è costante, facciamo almeno un centinaio di ore l’anno in tutte le scuole. La parte più organizzata delle lezioni nelle scuole è quella finanziata, perché chiaramente c’è un supporto. Poi c’è una parte un po’ più auto-organizzata, con professori che magari ci conoscono e che storicamente si sono trovati bene che ci chiamano, sporadicamente, magari non per un percorso ma per un incontro, o quest’esperienza degli stage, i ragazzi delle scuole fanno stage in Bottega da quattro o cinque anni, in collaborazione con il centro Vivere insieme della Caritas.


La Regione non finanzia la Bottega, finanzia dei progetti, non ci dà un aiuto per l’affitto, o per nessuno o per niente, e in realtà è anche ragionevole, come politica, perché l’autonomia è una cosa a cui un’organizzazione di qualsiasi tipo deve ambire, specialmente quando si basa sul commercio e non sulla carità, o sulla solidarietà in termini di donazioni, o sul volontariato puro. Però, avendo come idea quella di diffondere un tipo diverso di economia è giusto, a nostro parere, che l’economia sia quella che ti permette di vivere, che il commercio, purché equosolidale, ti permetta di vivere. Dopodiché, purtroppo, o per fortuna c’è tutto l’altro lato della medaglia, che è più della metà delle nostre attività, quella della sensibilizzazione, è difficile trovare tante persone che ti dedichino così tanto tempo. Però comunque gli aiuti esterni che possono essere per progetti di sensibilizzazione ma possono essere anche progetti d’investimento, per cui ci è stato finanziato proprio per questa bottega l’apertura una parte delle spese d’impianto, investimenti come il computer, abbiamo chiesto un finanziamento alla Regione e comunque sono stati finanziati, come progetti, come una cosa sporadica, “vuoi fare un investimento e con l’investimento ti aiuto”, anche risorse umane, insomma, c’è una parte delle linee di budget di questo finanziamento che è dedicata al personale, quindi noi ad esempio nelle scuole possiamo permetterci di retribuire delle persone, esclusivamente per andare nelle scuole. Mentre nella Bottega sono tutti volontari.

Da quando siamo qua è anche più facile che si offrano persone per fare volontariato. Per i progetti, c’è una distinzione tra alimentari e artigianato. Per due motivi, primo perché negli alimentari spesso un solo prodotto ha dentro tre o quattro progetti. Per esempio il caffè, perché le miscele vengono da più progetti, a volte anche la stessa miscela pura, cioè lo stesso Arabica puro viene da più progetti, perché sono progetti piccoli, per cui per fare una grossa fornitura il caffè viene da più progetti. E sugli alimentari è più difficile fare un discorso di sostenere un progetto specifico perché sono infiniti ed è difficile stare dietro agli aggiornamenti di quale cambia all’interno dello stesso prodotto e dipende molto dai gusti personali dei clienti, ci sono dei progetti su cui noi abbiamo cercato di insistere fino allo sfinimento, per esempio un cioccolato di produzione toscana che era in difficoltà e a rischio chiusura noi abbiamo cercato di “imporlo” ai nostri clienti e non c’è stato verso.


Il commercio equosolidale per definizione, dalla carta dei criteri della nostra assemblea generale, consiste nell’acquistare prodotti da progetti in paesi in via di sviluppo. Quindi, la Bosnia è in Europa, ma la Bosnia è considerata ancora un paese in via di sviluppo e un miele bosniaco è considerato un prodotto da commercio equosolidale. Libera, per quanto sia un progetto di economia solidale, non è commercio equosolidale, è una scelta politica, una scelta che abbiamo fatto come cooperativa, un po’ perché Libera è un progetto che in Italia è impossibile non sostenere, è una cosa che merita attenzione a prescindere, comunque come commercio equosolidale abbiamo la possibilità di avere, su tutta la gamma di prodotti che abbiamo, un 20% di prodotti che non sono del commercio equo. Quindi all’interno di questo 20% si possono mettere i prodotti di Libera, prodotti di economia locale, se si vuole, per esempio a Sarzana abbiamo prodotti locali, ed è stato scelto di sostenere alcuni prodotti locali piuttosto che alcuni prodotti di commercio equosolidale. Però è sempre all’interno di un 20%. E non è commercio equosolidale. Per esempio Made in No è un prodotto italiano ma con cotone certificato da commercio equosolidale. È un continuo dialogo, anche all’interno del movimento, perché il km0 è importante e perché far venire le cose dall’esterno, dalla parte opposta del mondo, è assurdo, anche per prodotti che non sono locali. Far venire il caffè dall’altra parte del mondo, se noi non produciamo caffè, è assurdo, come lo zucchero, come il tè. Se il mondo andasse come deve andare dovremmo mangiare quello che produce la nostra terra. Ma è facile parlare di economia locale e di necessità di sostenerla fregandosene di quello che succede nel resto del mondo. Questa sarebbe la cosa ideale se il mondo fosse in una situazione di parità e uguaglianza.

Se invece continua ad esserci lavoro minorile, povertà diffusa, gente che muore di fame perché l’economia predominante è squilibrata, secondo me è proprio sbagliato lavarsene le mani, è compito di un cittadino responsabile prendersi cura dei suoi simili, a prescindere da dove sono. Quella del consumo è una scelta individuale, non esiste una parte giusta e una parte sbagliata in assoluto. Come cooperativa noi siamo nati con lo scopo di promuovere il commercio equosolidale. Quindi, quella dell’economia locale è compito di altri. O noi scegliamo di cambiare i nostri fini statutari o la nostra priorità rimane, a prescindere da quanto ne discutiamo, la nostra mission, rimane quella di solidarietà tra i popoli, quella di promuovere uno sviluppo che sia sostenibile per tutti. Quando quest’obiettivo sarà raggiunto, speriamo presto, ci porremo sicuramente altri obiettivi, altri cambiamenti, però io personalmente non mi sento affatto di appoggiare l’essere radicali in tutto, è vero, la nostra terra non produrrebbe neanche il caffè, che pure è un simbolo nazionale, però da lì a dire che dobbiamo fare a meno del caffè perché fa cinque km o duecentomila, mi pongo molti interrogativi. Chissà, forse in un futuro riusciremo a rendere più sostenibili i trasporti, chissà quale sarà lo sviluppo… l’importante è confrontarsi sulle strategie e sulle soluzioni.



Il nostro rapporto con i GAS non è molto stabile. Ci eravamo prefissati l’obiettivo di avere una certa regolarità e un certo impegno e questo con molti GAS è scemato, anzi, forse non è nemmeno partito, perché il GAS per sua definizione è molto anarchico, non c’è una regola uguale agli altri e ogni GAS decide il suo stile d’acquisto, quindi è difficile dire “m’impegno nei confronti della bottega equosolidale ad acquistare un tot”, come si era detto in partenza, e questo ci mette un po’ in difficoltà nel senso che se viene un GAS e dalla mattina alla sera ci porta via metà delle scorte di biscotti ci mette in difficoltà. Trovare l’equilibrio tra ordine, pre-ordine e il “vengo a ritirare quando posso” è complesso, quindi a volte bisognerebbe fare un preordine, per esempio di panettoni a giugno-luglio, non a dicembre quando ci sono quelli che venderemmo lo stesso. È una sinergia che si può sempre migliorare. In fondo, anche se è difficile pensare ai panettoni in luglio, è come comprare la verdura. Bisogna pianificare prima. Tu non puoi andare da un contadino una mattina e dirgli “dammi tutta l’insalata che hai”, se ha altri clienti. Il problema di queste cose è che siamo tutti volontari, e questo comporta dei grossi limiti, di tempo, specialmente finché avanza questa fantomatica crisi economica e siamo tutti presi dal panico di dover produrre di più, lavorare di più, non avere più interessi, tempo, perché il tempo che hai devi dedicarlo a lavorare per mantenere il tuo stile di vita. Quando saremo disposti a mettere in discussione il nostro stile di vita e la nostra capacità di essere sobri, sicuramente riusciremo anche a trovare il tempo per coltivare i nostri interessi reali che abbiamo.

intervista Catia, foto Laura

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